UBRIACATEVI SENZA REQUIE, DI VINO, DI POESIA O DI VIRTÙ
Questo scrive Baudelaire nel XXXIII passo de Lo Spleen di Parigi. Un pensiero quasi sfacciato che torna anche in altre sue opere. Baudelaire parla del vino con passione e competenza, descrivendolo con una bravura da fare invidia al Sommelier più preparato, ma non è l’unico poeta o scrittore ad amare il nettare di Bacco. A dire la verità sono rari gli scrittori che non parlano di vino e di cibo, riservandoci anche alcune sorprese inaspettate.
Una grande delusione ci arriva, purtroppo da Gabriele D’annunzio, che tra tutti i suoi piaceri non annoverava il vino, del quale si vocifera fosse addirittura astemio. Per fortuna, a riscattare la stirpe dei poeti arriva inaspettato Giacomo Leopardi che nello Zibaldone così ci stupisce: “Dicono e suggeriscono che volendo ottenere dalle donne quei favori che si desiderano, giova prima il ber vino, ad oggetto di rendersi coraggioso, non curante, pensar poco alle conseguenze, e se non altro brillare nella compagnia coi vantaggi della disinvoltura”.
Il vino è un must per Giovanni Pascoli con tante poesie belle come la deliziosa “Vendemmia” e per Giosuè Carducci che si faceva addirittura chiamare Enotrio Romano, entrambi cultori appassionati che riempiono e le loro missive di ordini di damigiane a questo o a quel produttore, a questo o a quell’amico. È proprio di Pascoli la più perfetta descrizione degli effetti dell’alcol sulla psiche nella poesia I Tre Grappoli:
Ha tre, Giacinto, grappoli la vite.
Bevi del primo il limpido piacere;
bevi dell’altro l’oblio breve e mite;
e… più non bere:
ché sonno è il terzo, e con lo sguardo acuto
nel nero sonno vigila, da un canto,
sappi il dolore; e alto grida un muto
pianto già pianto.