Da anni giro per i ristoranti del Piemonte e da anni scelgo piatti da menu che spesso si assomigliano uno con l’altro e ancora più spesso spuntano loro: i famigerati Tajarin ai 40 tuorli, quasi sempre accompagnati dall’aggettivo “tradizionali”.
E le domande che ogni volta mi rivolgo sono: “Perché?” la prima e, a ruota, la seconda: “Che fine facevano gli albumi?”
Cioè, perché chi propone cucina tipica, ancorché eccelsa, si sente in dovere di mettere in carta questi Tajarin? Che origine hanno?
Nella civiltà contadina i Tajarin, tagliolini in italiano, erano un piatto più o meno da tutti i giorni, che richiedeva farina, sempre a disposizione e non eccessivamente costosa, e uova.
40 per ogni chilo di farina? Davvero?
Sono andata a spulciare alcuni ricettari. Prima di tutto “La Cucina del Piemonte” di Giovanni Goria che qualche decennio fa ha codificato la cucina piemontese e i nostri compaiono in “Tajarin delle Langhe con l’antico comodino di frattaglie del cortile”. Non un piatto povero. Poverissimo!
Ebbene, uno dei più noti gastronomi pedemontani la ricetta della pasta la liquida così: “Tirate sottile la sfoglia impastando tante uova quanti gli ettogrammi di buona farina, o qualche uovo in meno e in più, qualche cucchiaio di acqua calda o vino bianco”.
Bada bene, uova. Non tuorli.
Sono andata avanti a cercare in tutti i ricettari che ho in casa (e non sono pochi) e ho sempre ottenuto la stessa risposta: se parliamo di tradizione, le uova servivano per tenere insieme la farina. La minima quantità sufficiente allo scopo. Punto.
Alla fine, convinta di non avere a disposizione materiale adeguato, ho chiamato una cara amica, maestra di cucina, che sa tutto, ma proprio tutto sulla cucina piemontese, e la sentenza, ardua, è stata: “Non esistono ricette antiche o anche solo vecchie che prevedano l’uso dei famosi 40 tuorli”.
Anche perché bisogna ricordare che, nelle case dei contadini, dove non si buttava via niente, le uova erano un bene prezioso. Lo stretto necessario si utilizzava, il resto si vendeva. E se non si buttava via niente, prevedendo 40 tuorli la presenza di altrettanti albumi, questi dove finivano? Forse in montagne di meringhe o nei Brutti e Buoni con le nocciole? Poco credibile.
I Tajarin dei 40 tuorli sono un’invenzione degli ultimi anni, quindi, cari ristoratori, nessuno vieta di metterli in carta ma, per favore, abbiate la cortesia di togliere quei “tradizionali” o “Come una volta”.
Gridano vendetta!
Paola Gula
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